Raccolta Articoli C&TL

                                                                            Articoli Sportivi

 

 

da C&TL -Anno 1 N. 2 Luglio 1996

PESCA

LA SEZIONE PESCA

Articolo del Responsabile della Sezione Giuseppe Petrocelli.

Qui è la Sezione Pesca che vi parla!

La sezione Pesca è la “decana” delle sezioni sportive; l’antesignana del Circolo Dipendenti (pensate che si appresta a compiere 30 anni) ed è sempre stata in piena attività, certamente con alterni successi ed insuccessi, ma sempre presente nell’ambiente oltrechè nella vita del Circolo.

E, per doverosa puntualizzazione nei confronti di tutti i pescatori e simpatizzanti, voglio augurarmi che l’assenza di questa Sezione dall’elenco ufficiale di tutte le sezioni sportive, pubblicato sul n. 1 di “Cassa e Tempo libero” sia solo dovuta ad una imperdonabile svista dei “files” di un computer e di una stampante eccessivamente distratti!!

Ciò premesso, desidero porgere il benvenuto al neonato giornale del Circolo augurandogli lunga vita e tanto successo. Questa pubblicazione deve infatti essere lo strumento per rendere tutti partecipi della vita del Circolo in ogni sua manifestazione, e destare l’interesse anche dei più “pigri”.

Anch’io approfitto di queste pagine per invitare i colleghi, giovani e meno giovani, che amano la pesca, sia come svago che come attività agonistica a farsi avanti e prendere contatto con i responsabili della sezioni per avere notizie circa l’attività che svolgiamo.

La nostra sezione, ormai da tempo, partecipa alle tante gare organizzate dalla FIPS provinciale  e spesso con evidente soddisfazione... le coppe in mostra nei locali del circolo ... parlano chiaro!

Il nostro campionato sociale poi, che si articola su sei/sette gare all’anno, rappresenta un piacevole momento di incontro tra tutti i nostri soci durante il quale si rinsaldando le amicizie e lo spirito di gruppo oltre a verificare l’abilità agonistiche individuali e delle squadre.

Un’altra attività che caratterizza la nostra sezione è la partecipazione ogni anno, al Trofeo Nazionale Interbancario di Pesca alla Trota in Torrente, riservato ai dipendenti e pensionati delle aziende di credito. Quest’anno questa manifestazione, che è ormai alla sua 15a edizione, si è svolta nel fiume Sarca a Pinzolo (TN), dove abbiamo partecipato con una squadra di otto colleghi. La sezione Pesca Caripit è presente a questo trofeo fin dalla prima edizione nel lontano 1981, a Pon Canavese (TO) dove i nostri Alfonsino Colzi e Giancarlo Manzoni conquistarono la medaglia d’oro individuale sfiorando il podio nella classifica generale.

In queste uscite non c’è solo la gara. C’è l’opportunità di conoscersi meglio tra colleghi e di conoscere colleghi di altre banche e, soprattutto, di stare a contatto con la natura godendo delle bellezze che essa ci offre.

Come nel 1990, quando la gara dell’Interbancario fu organizzata nel torrente Dora, in Val Ferret (Courmayeur-Valle d’Aosta), che scorreva con le sue acque ancora bianche e spumeggiante per lo scioglimento delle nevi, proprio ai piedi del massiccio Les Grandes Jorasses. Godemmo di uno spettacolo naturale incomparabile.

Pescare proprio sotto le cime che, alle sette del mattino, ora del raduno, si stavano appena indorando con il sole di inizio giugno ed avemmo la fortuna di poter ammirare i camosci muoversi indisturbati nel loro ambiente naturale tra le rocce maestose. Sicuramente sul momento eravamo più attratti dalle bellezze della natura che dalle trote che dovevamo pescare. Queste sensazioni sono ancora vivide nella memoria dei partecipanti, che negli anni successivi hanno spesso ripetuto esperienze del genere. Inoltre in quell’occasione il collega Massimo Gori catturando dieci belle trote (era rivolto con la schiena allo spettacolo naturale appena descritto! Non aveva distrazioni!) portò a casa la medaglia tenendo alti i colori della squadra.

 

In queste righe sta tutta la filosofia della nostra sezione e delle altre sezioni del Circolo: sana attività sportiva, spirito agonistico forte ma non esasperato,  amore per la natura e voglia di stare insieme tra amici.

 

Tutto questo è solo un flash per stuzzicare i colleghi amanti della pesca ed invitarli a partecipare alle nostre attività ed alle nostre iniziative. Il Circolo e le sezioni sono di tutti ed aperte a tutti. Quindi fatevi avanti perchè, come si dice nel nostro ambiente:

CHI DORME NON PRENDE I PESCI !!!

 

da C&TL -Anno 1 N. 3 Settembre/Ottobre 1996

PODISMO

CORRERE, CORRERE, CORRERE di Pietro Privitera

Volete migliorare il vostro aspetto fisico? Volete dimagrire? Volete sentirvi più in forma? Volete vincere lo stress ed il vostro nervosismo? Beh, se il vostro problema rientra anche in una sola di queste casistiche, allora è giunto il momento di fare del Podismo.

“ Podismo? Perché ? “ Vi domanderete!

 La corsa è nata con l’uomo: i primitivi correvano per spostarsi più in fretta, correvano per sfuggire agli animali feroci, correvano per catturare le prede, correvano per catturare il partner, casomai con l’aiuto di una clava!

La corsa è un istinto naturale dell’uomo: il bambino appena mossi i primi passi, comincia a correre. E corre fino a che, da più grande, la ragione non prevale e ostacola l’istinto e fa di tutto per dissuaderlo perché correre è fatica.

Ma provate a ricordare quella sensazione di felicità, di serenità, di relax che avvolgeva tutto, quando da bambini ci buttavamo distesi sull’erba dopo una sana corsa all’aria aperta. Provate a chiudere gli occhi solo per un momento e ad assaporare quelle sensazioni meravigliose e antiche.

A qualunque età tutto questo permane ancora, dopo una corsa. Il cuore dapprima aumenta i battiti come impazzito, il fiato diventa corto ed affannoso, i muscoli si indolenziscono velocemente, la mente continua a ripetere se tutto questo ha un senso..... Allora ti fermi stanco ed affannato, credi di morire. Solo la mente è contenta perché hai smesso di soffrire.

Ma ecco che, con il passare dei minuti, tutte le funzioni riprendono la loro quotidianità, i muscoli riprendono a rispondere ai comandi, una sensazione di spossatezza pervade tutto quanto ed il mondo intorno assume nuove forme, nuovi colori. Allora capisci che ciò che stai provando sono le stesse sensazioni che provavi quando eri bambino e sai che, nonostante i dolori del momento, stai meglio, ti senti meglio, riacquisti nuove energie vitali.

Eppure, non ha fatto altro che una cosa naturale: una corsa!

 Oggi la corsa per l’uomo non è più una necessità come nella preistoria, e per gli adulti non è un istinto naturale come per i bambini, ma più semplicemente un sistema per mantenersi in forma.

La vita frenetica e stressante da un lato ed i comfort, che la tecnologia mette a nostra disposizione, dall’altro, induce ad impigrirci ed a trascorrere nel dolce far niente gran parte del nostro tempo libero.

Le statistiche confermano che il peso medio corporeo degli italiani è in aumento, sicuramente a causa della maggiore quantità di calorie che vengono assunte durante i pasti, ma soprattutto a causa della pigrizia e della sedentarietà.

 Ma il fisico dell’uomo ha bisogno di muoversi, ‘percepisce’ i desideri dei muscoli, ‘fiuta’ il desiderio del movimento, ‘sente’ il movimento come una necessità quotidiana.

 L’attività fisica e sportiva è divenuta oggi indispensabile ed è un bisogno irrinunciabile.

E oggi tutti hanno la possibilità di praticare uno sport. Ce n’è di tutti i tipi e per tutti i gusti: dallo sci al trekking, dalla bicicletta al tennis, dalla palestra al ballo, dal nuoto alle bocce.

Ma la corsa è la “madre” di tutti gli sport. Oltre ad essere praticata dagli appassionati veri e propri è anche alla base della preparazione atletica di tutte le altre discipline.

Anche gli studi effettuati dalla medicina sportiva confermano che correre aiuta a sudare, quindi a dimagrire, aiuta ad eliminare le tossine, quindi a vincere lo stress e il nervosismo, aiuta a tonificare i muscoli e la mente.

E inoltre la corsa è l’attività sportiva più pratica ed economica. Non c’è bisogno di particolari impianti o attrezzature,  bastano un paio di scarpette, un po' di buona volontà  e poi..., si può correre dappertutto, in qualsiasi momento, da soli o in compagnia, per poco o per lungo tempo, piano o forte, ci si può fermare riposare e ripartire!

L’importante è trovare motivazioni e stimoli giusti.

Per alcuni la motivazione è legata a fattori estetici.

E’ noto infatti il beneficio della corsa per chi soffre di cellulite (soprattutto le signore!! e il Cielo sa quante ce ne sono!!!): correndo, ogni volta che il tallone tocca terra, una miriade di vibrazioni salgono dalla gamba e si trasformano in massaggio terapeutico mirato proprio dove serve che, combinato con l’aumentata circolazione sanguigna, aiuta ad eliminare l’eccesso di liquidi trattenuti dai tessuti adiposi e quindi ad eliminare quella fastidiosa ed antiestetica ‘cellulite’.

Per altri - come per noi del Gruppo Podistico Caripit - è il piacere di correre all’aria aperta in compagnia di amici e tantissimi altri appassionati ai raduni che si svolgono, ogni domenica mattina, nella nostra provincia ed in quelle limitrofe.

In queste occasioni oltre a fare dello sport  è come assistere, ed al tempo stesso essere parte integrante, di un vero e proprio spettacolo. I paesi e le località del raduno sono invasi da centinaia di persone di ogni età, sesso e ceto sociale, ognuna con le divise variopinte dei vari gruppi di appartenenza; e la gente sulle strade che  saluta e incita i corridori che passano; e i premi generosi sempre per tutti e non solo per i vincitori; e poi i “ristori” del dopo corsa con i tavoli imbanditi con ogni ben di Dio.  Beh! Ogni volta è un’esperienza nuova e preziosa.

Chi ha avuto l’occasione di partecipare a queste manifestazioni o anche solo ad assistervi, avrà senz’altro osservato l’entusiasmo e l’allegria che vi regnano e che si uniscono all’aspetto più propriamente sportivo.

Rivolgiamo quindi l’invito ai nostri colleghi ed ai loro familiari ad avvicinarsi al nostro gruppo, per  provare queste sensazioni ed emozioni oltre, ovviamente, a godere dei benefici che solo la corsa sa e può dare.

 

da C&TL -Anno 1 N. 4 Novembre/Dicembre 1996

GOLF

DA UN NEOFITA DEL GIOCO DEL GOLF di Carlo Pellegrini

Il contatto con il GOLF è nato quasi per scherzo; l’invito di un amico a seguirlo al Golf di Montecatini durante il percorso di gioco mi ha permesso di avere un rapido contatto con un ambiente per me del tutto nuovo ed affascinante.

Il Golf di Montecatini è stato studiato nel pieno rispetto dell’ambiente collinare, mantenendo le centinaia di olivi, le querce, i cipressi.

Da diversi punti è possibile ammirare un paesaggio degno dei dipinti di Piero della Francesca. Nelle limpide giornate la vista si estende fino a San Miniato e a Volterra. Dal tee della buca 4 si ammira il castello di Larciano e, al di là, quello di Vinci. Il calar del sole ci riserva tramonti stupendi. Il tempo è scandito dai rintocchi della medievale torre di Montevettolini.

Da allora ho iniziato a frequentare il Golf di Montecatini considerando che, se mai non fossi stato capace di diventare un giocatore mediocre di golf, avrei pur fatto sempre camminate stupende su un tappeto erboso in un ambiente paradisiaco. E che, oltre al piacere di giocare, ci sarebbe stato quello di ritrovarmi fra amici per trascorrere ore serene.

Ho constatato che il GOLF, sport più rilassante del mondo, erroneamente è giudicato una disciplina inavvicinabile. Il Circolo di Montecatini permette a tutti di imparare questo bellissimo sport; in determinati periodi dà la possibilità agli interessati di effettuare alcuni tiri di prova. Si può iniziare a giocare con una spesa contenuta (buone mazze di seconda mano, ecc.).

Tornando al mio gioco, una domenica di maggio con il sole splendente, la brezza mattutina, il profumo dei fiori di ginestra e un incantevole tappeto erboso, coraggiosamente, ho partecipato ad una delle gare di circolo più attese.

Mi appresto a partire, assieme ai miei tre compagni.

Dopo aver mirato al centro pista (farway), concentrato, ho fatto il primo tiro, ma la pallina distrattamente ha centrato il terzo olivo a destra, suscitando i mormorii dei presenti, nonostante che sul gioco dovrebbe regnare il silenzio.

Emozionato, ho poi trovato difficoltà a rimettere la pallina in gioco; risultato: prima buca persa e morale down.

Sportivamente continuo a giocare.

Dal tee della 3, al primo colpo con la pallina “centro” il sottostante lago, spruzzando uno dei cigni che “naviga” da quelle parti; perdo quindi un colpo, distanza e...buca.

Alla buca 10 mi trovo di fronte il grande lago. Con il primo tiro casualmente faccio “traghettare” la pallina sull’altra sponda, impresa applaudita da compagni di gioco, che mi dà coraggio a proseguire.

Continuo però a praticare un gioco sempre pessimo.

Dal tee della buca 15, emulando i miei compagni, tiro direttamente al green. Per miracolo la pallina arriva sì all’altezza della bandiera, ma va a nascondersi fra le radici dei pini che si affacciano come guardiani sul lato sinistro del green. Non riesco a descrivere le difficoltà incontrate con questo green in discesa... e la mia pallina senza freni.

Il sudore della sofferenza comincia a scorrere appena impugno la mazza alla partenza della 16. Il calvario prosegue per il restante percorso, ma devo continuare.

Arrivo, finalmente, al tee della 18 (ultima buca).

Da lì noto diverse persone sulla terrazza della Club-house che osservano il gioco (oltre che a godere del riposante paesaggio circostante), cosa che non può certo giovare al mio morale.

Tiro e la pallina si tuffa nei pressi della sponda sottostante del lago.

Con il secondo tiro riesco a far attraversare (quasi) il lago alla seconda pallina, che però va a nascondersi fra le canne, consentendomi così di por termine alla sofferenza.

Dopo la doccia, mi sono ritrovato assieme a tutti i partecipanti sulla terrazza per l’aperitivo.

Quando il sole decide di lasciare spazio alla luna e si accendono le luci, la magia di questo angolo è talmente tangibile da rendere superflua ogni parola.

E’ l’ora in cui i tavolini si animano con tutti gli ospiti dello sponsor per cenare.

I giocatori raccontano a tavola le difficoltà incontrate alle ultime buche.

 La notte ho sognato di aver realizzato la buca 18 in un sol colpo (HOLE IN ONE).

 

da C&TL -Anno 1 N. 4 Novembre/Dicembre 1996

PESCA

BREVE CRONACA DI UNA GARA DI PESCA di Giuseppe Petrocelli

Domenica 20 ottobre si è concluso il Trofeo Pazzagli di pesca al pesce bianco, organizzato da FIPSAS di Pistoia, che si è svolto fra settembre e ottobre, come ogni anno, presso i Laghi Primavera.

E’ uno dei più partecipati, graditi e combattuti trofei di pesca organizzati dalla FIPSAS e pertanto non poteva mancare la presenza della Caripit - Sezione Pesca, che nel recente passato ha realizzato un primo e due secondi posti assoluti.

Quest’anno invece il risultato non è stato di prestigio come nelle attese, ma l’impresa è ugualmente degna di nota perché dimostra, se ancora ce ne fosse necessità, l’impegno, l’attaccamento e la dedizione dei nostri pescatori nei confronti della sezione.

Siamo partiti con 3 squadre che hanno partecipato alle tre prove eliminatorie, due squadre sono riuscite a passare il turno ed accedere alla semifinale e di queste due solo la squadra “C” ha potuto disputare la finalissima.

Fino alla semifinale i nostri campioni si sono battuti con onore  vincendo due gare su tre, imponendosi sulle società dirette avversarie.

Addirittura i nostri eroi, da quelle vecchie volpi che sono, sono riusciti ad entrare in finale catturando solo due minuscoli pesciolini (un pesce sole ed un triottino) sufficienti per passare il turno visto che gli avversari non avevano pescato niente di meglio.

Nelle ultime fasi del Trofeo invece la fortuna ci  abbandona ed anche il tempo si mette a fare capricci.

La finale infatti si svolge in una mattinata di nebbia fittissima, per taluni versi anche affascinante, ma non certo per i garisti che devono passare tre ore di gara intirizziti dal freddo. Dei laghi si riesce a distinguere solo la rete di recinzione, le voci dei garisti, solitamente vivaci, sembrano assolutamente spente a causa della nebbia, si avverte vagamente un brusio sommesso.

Le cronache dei garisti, ne “la gara minuto per minuto del Giovedì sera” (quando ci ritroviamo tutti al Circolo), ci diranno poi che il galleggiante era invisibile e la “tocca” si doveva solo intuire seguendo il movimento di quella parte di lenza più vicino agli occhi!

Ero andato da spettatore e volevo fare anche un po' di tifo. Provai a gridare un nome chiedendo notizie sull’andamento della gara. Ma la risposta, a malapena percepita, fu un semplice ma significativo “..male!”.

Ed in queste condizioni il nostro Venturi riesce a pescare 7,30 chili di pesci, ma il suo vicino di picchetto e diretto rivale, sistemato in una zona notoriamente più redditizia, raggiunge il peso di ben 20 chili, mentre l’altro eroe Fantoni, solitamente attivo, pesca solo 300 grammi contro i 12 chili del suo vicino di picchetto (appena 4 metri distante)!! Siamo al colmo della “sfiga”, e la classifica dunque porta in vantaggio la “Garisti Pistoiesi” per 14 penalità contro 22 ed i nostri, certamente con il morale sotto stivali, nel pomeriggio dello stesso giorno si dovranno battere per aggiudicarsi il posto in classifica dal 5° all’8°, poiché otto sono le società arrivate alla finalissima. Nel pomeriggio pur con il 1° di settore realizzato da Fantoni, il risultato finale non ripaga delle fatiche.

 Ma a parte il risultato, inferiore alle aspettative, come dicevo in apertura, e certamente condizionato anche dalla fortuna e dalla stagione avversa, ai quattro “Cavalieri dell’Apocalisse” - squadra “C” - Fantoni, Guastini, Venturi e Ercolini, va un meritato applauso per la loro costanza, ed in particolare ringraziamento al “più anziano della Compagnia”, Ercolini, che con la sua esperienza è sempre all’altezza di arrivare in finale.

Questa breve cronaca vuole anche richiamare l’attenzione di qualche collega pescatore, e di suoi familiari, sull’attività sportiva svolta dalla sezione Pesca: chiunque senta di avere spirito agonistico e si voglia cimentare sul campo di gara, oltreché partecipare alle attività sociali, può contattare Luca Giusti presso il nostro Sportello Ospedale o Giuseppe Petrocelli presso l’ufficio Contabilità Titoli.

Anche se talvolta i risultati non sono brillanti, nelle gare c’è sempre un aspetto positivo e stimolante come è il confronto con gli altri e la serena valutazione delle proprie possibilità, sia in positivo che in negativo.

 

da C&TL Anno 2 N. 1 - Gennaio/Febbraio 1997

 PODISMO

 SEMPLICI REGOLE PER CORRERE

 Questa volta vogliamo utilizzare in maniera diversa lo spazio che Cassa e Tempo libero mette a disposizione della Sezione Podismo per fornire alcuni semplici consigli, ma senza dubbio di estrema utilità, per tutti coloro che per la prima volta volessero intraprendere l’attività podistica.

 Riteniamo che queste regole possono essere comunque utili anche per chi pratica altre discipline sportive.

 L’allenamento

Ricorda che l’allenamento è importante, ma deve essere svolto in maniera da rispettare:

a) la continuità: meglio fare poco, ma molto spesso, che tanto, in maniera saltuaria. In questo caso, meglio cento giorni da agnello che uno da leone!

b)  la gradualità: quantità di chilometri percorsi ed intensità dello sforzo devono venire incrementate gradualmente.

c) la modulazione: gli allenamenti non debbono risultare ripetitivi, ma variare continuamente come  tipo di sforzo, durata ed intensità. Ad esempio se al primo giorno si corre per molti chilometri piuttosto lentamente, il giorno successivo sarà opportuno percorrere una distanza più breve più rapidamente, ed il terzo giorno effettuare prove veloci su distanze corte con intervalli a volontà.

La ripetitività dello stesso tipo di lavoro a lungo andare crea un adattamento fisiologico impedendo all’organismo di esprimersi su valori più elevati.

 L’alimentazione

Ricorda che l’alimentazione deve essere curata, assai varia ed essere basata su sostanze ad elevato potere energetico.

 a) evita di magiare troppi cibi fritti. I fritti sono di difficile digestione e creano problemi al fegato ed allo stomaco.

b) tieni in particolare riguardo i vegetali. Per le attività di resistenza un’alimentazione vegetariana è preferibile ad una proteica, basata su carne e pesce.

c) non avere timore di bere troppo. La corsa su strada favorisce la disidratazione e la perdita di sali minerali importanti per il buon funzionamento del tuo motore. Bere molto significa ripristinare continuamente il livello di sali minerali indispensabili.

 Il Vestiario

Ricorda che il vestiario deve rispondere ad un criterio di funzionalità e non di estetica. In particolare:

a) non usare pantaloncini troppo lunghi: potrebbero irritare l’interno delle cosce.

b) non usare magliette lucide acriliche: non consentono una corretta traspirazione della pelle e non assorbono il sudore.

c) non usare scarpe da tennis: potrebbero creare vesciche ai piedi e dolori sotto la pianta e sul dorso del piede stesso.

d) usa sempre i calzini: in tal maniera puoi assorbire il sudore ed evitare fastidiose abrasioni procurate dallo scivolamento del piede sudato nella scarpa.

 La tattica di gara

Ricorda che, pur facendo dell’agonismo, il tuo obiettivo non è quello di vincere le Olimpiadi. Comportati come segue:

a) non cercare di strafare: correndo troppo forte, anche se ti supera il “nemico” del cuore, non permettere all’orgoglio di avere il sopravvento, ma regolati secondo il tuo ritmo.

b) imposta un ritmo uniforme: ogni accelerazione produce un dispendio di energie infruttuoso che “vuota” il tuo serbatoio facendoti rimanere in riserva di energie.

c) cerca di non trovarti mai da solo: correre in compagnia facilita la soluzione dei problemi legati alle lunghe distanze di gara. Da solo è difficile vincere la fatica psicologica, in gruppo tutto diventa più facile.

 

da C&TL Anno 2 N. 2 - Marzo/Aprile 1997

 BABBO....IBBOIA LE DOLOMITI ! di Giorgio De Vita

9

marzo 1997, foce di Campolino: Trofeo Interaziendale di sci.

Alle ore 8,30 ci presentiamo, puntualissimi, all’appuntamento che, per noi della sezione SCI, significa cercare di difendere con le unghie, e quindi conquistare definitivamente, il trofeo che deteniamo in via provvisoria quali vincitori della scorsa edizione; insomma una specie di Coppa Rimet.

Manca solo Mario il segretario, bancario ritardatario, il quale però ha tutti i pettorali da distribuire, quindi serpeggia una certa preoccupazione fra gli atleti ma, alla fine, giungerà in tempo anche lui.

Appena arrivati nel piazzale adibito a parcheggio diamo subito un’occhiata generale, e non possiamo trattenere la commozione nel rivedere dopo tanti anni quest’impianti che, assieme alla seggiovia delle Regine, ci riportano indietro nel tempo, all’epoca della nostra infanzia spensierata. L’unica nota negativa è il rammarico di non poter salire più sullo “slittone” della pista Riva, che tanto bene si sarebbe intonato agli altri impianti della zona.

Chissà chi sarà stato quell’iconoclasta che lo fece smantellare per far posto a quell’avveniristica seggiovia monoposto, orribile segno dell’inarrestabile progresso, per di più dotata anche di poggiapiedi.

Passato il primo momento di emozione ci avviamo verso il botteghino dove vendono gli skipass, e constatiamo con soddisfazione che i prezzi sono analoghi a quelli dei più famosi centri sciistici delle Dolomiti: finalmente qualcuno si rende conto che anche all’Abetone non hanno niente da invidiare a Cortina, Selva, Corvara, Madonna di Campiglio.

La segnaletica ed i cartelli, alcuni in autentico legno autoctono ed altri in ruggine purissima, sono, sì, un po' difficoltosi da leggere, ma anch’essi ci ricordano l’artigianato locale, così fervido ed operoso.

Finalmente, dopo la vestizione, iniziamo a salire la comoda scala che conduce al piano d’imbarco della cabinovia: sarà larga circa cm. 58, ma in fondo che bisogno c’è di farla più grande? E’ sempre andata benissimo così e disciplina la coda in maniera egregia.

La ruggine nasconde, si pensa, un’anima metallica evidentemente ancora efficientissima e, dato che l’abbiamo sempre vista così da più di trent’anni, ci infonde quel piacevole senso di sicurezza e robustezza, necessario per sciare tranquilli.

Circa a metà della rampa c’è uno scalino che flette verso il basso. La lamiera è rotta, per cui, sotto il peso dello sciatore, il gradino cede, facendo temere una caduta nel vuoto: macchè, o uomini di poca fede! Quale moto d’orgoglio nel vedere la lamiera che, dopo aver sostenuto l’ospite, con cotanta granitica energia scatta elastica e riprende la sua forma originaria, pronta a sostenere un altro gitante!

Certamente i materiali utilizzati dai nostri bisnonni erano di primissima scelta. Qualcuno potrà rischiare una caviglia, è vero, ma il tal caso capirà che è venuto il momento di sottoporsi a dieta ferrea; in fondo il rischio maggiore è quello di costringere i gestori dell’impianto a sostituire il gradino con uno nuovo, magari in ferro zincato a caldo, deturpando così l’armonia della struttura.

Dunque, oltrepassato con successo questo trabocchetto, ci avventuriamo all’imbarco. I nostri figli, avendo in mente le seggiovie a 4 posti, con capote trasparente ed aggancio automatico del Plan de Corones, osservano con stupore ed attenzione le mosse degli sciatori che ci precedono, cercando di capire bene quali prove saranno chiamati a superare per raggiungere la vetta: disporsi ad una certa distanza l’uno dall’altro, scattare sui  blocchi  di  partenza  al momento giusto come Carl Lewis  (con gli scarponi  ai  piedi e gli sci in mano), gettarsi dentro cercando di  non  far cadere nulla ma, soprattutto, proteggere l’arcata dentaria dall’inevitabile urto sul bordo della gabbia in caso d’inciampo (sembra che i gestori siano convenzionati con uno studio dentistico)

Dopo un attento studio la prole, preoccupata, ci domanda se li abbiamo portati a sciare o a visitare la mostra dell’antiquariato, e comunque ci ringrazia per avergli mostrato qualcosa che appartiene ad un altro mondo, qualcosa che altrimenti non avrebbero ma potuto vedere nè immaginare.

Una volta iniziato il viaggio si riprende fiato dopo l’operazione d’imbarco, e continua lo stupore dei nostri eredi: “ma, babbo, e il sedile dov’è ?”. Spieghiamo loro che un sano viaggio in piedi tempra i muscoli per le fatiche sportive che dovremo affrontare da lì a poco.

“E questo pavimento di vecchissimi assi di legno, mamma, reggerà ?”. Li tranquilliziamo, giacchè è veramente raro trovare un materiale ligneo così ben stagionato, dopo trent’anni.

Allo sbarco, in vetta, l’addetto ci urla di scendere “a marcia indietro”, la qual cosa rappresenta una volta ancora una grossa novità per i ragazzi, i quali affrontano la prova fra il preoccupato e il divertito, imbracciando i loro attrezzi sportivi e spargendoli inevitabilmente dappertutto, a dritta e a manca, visto l’impegno profuso nel cercare di evitare la caduta per salvare il viso.

Finalmente in quota! Dopo aver commentato positivamente, ammirati, la perfetta condizione atletica del personale addetto alla cabinovia, calchiamo le bianche distese del Campolino.

Ma, in mezzo a questa pace ed a questo spettacolo della natura, che cosa sarà questo rumore continuo che rompe il silenzio secolare delle vette appenniniche ? Ci facciamo guidare dalla fonte da cui sembra provenire il rumore, e scopriamo un vano in muratura, quasi cadente, che nasconde al suo interno un enorme motore diesel, sbuffante, con due grosse tubazioni di scarico, completamente arrugginite, appese alle pareti esterne.

Pensiamo: beh, questo è purtroppo il prezzo che bisogna pur pagare per far funzionare tutti questi moderni impianti e le relative strutture collaterali. In fondo dobbiamo ringraziare queste persone che, pur di non mettere a repentaglio le nostre vite con pericolose linee elettriche aeree o interrate, si sobbarcano l’onere di trasportare fin quassù il combustibile, e sopportano tutti i giorni questo rumore assordante. Che incivili quelli del Trentino, che hanno vietato questo tipo di alimentazione per i motori degli impianti di risalita !?

“Questa costruzione è senz’altro un residuato della grande guerra”. “No, ragazzi, questo è il rifugio del Campolino...”

“Ma, e i servizi igienici, quanti anni saranno che non li puliscono ? Le porte sono rotte, le serrature non ci sono, manca la carta, i sedili sul vaso, il sapone, uno specchio, qualcosa per asciugarsi le mani...”

“Tranquilli, ragazzi, lo fanno per invogliare la gente a concimare i prati ed il bosco; qui dobbiamo stare a contatto con la natura, ignorando le usuali comodità”

Alla fine della giornata, una volta saliti in macchina, la sana stanchezza ha il sopravvento e tutti (eccetto il pilota !) si addormentano contenti.

L’ultimo commento dei figli è il seguente:

“Siamo molto soddisfatti di aver superato brillantemente, e senza danni, questo percorso ad ostacoli, che ha riempito la nostra giornata di vacanza. Non si può certo dire che la medesima soddisfazione la si possa provare sulle Dolomiti, dove tutto è ipermoderno, efficiente, esageratamente comodo, spiattellato, lì a tua disposizione; basta solo utilizzarlo ! Qui sì che ti senti appagato, vincitore di mille avversità, conquistatore delle montagne, più forte di tutte le difficoltà che hai superato.

Ibboia le Dolomiti, babbo!”

 

da C&TL Anno 2 N. 3 - Maggio/Giugno 1997

 TENNIS TAVOLO

 PERCHE’ PROPRIO... TENNIS TAVOLO ? di Paolo Bresci

 

Il Ping Pong è un gioco simile al tennis e pertanto è detto anche Tennis Tavolo. Si svolge su di un tavolo che serve da campo da gioco e che, con alcune varianti, ripete le modalità di svolgimento del tennis.

Secondo alcuni, le sue origini sono antichissime in quanto sarebbe stato praticato diversi secolo fa nell’Estremo Oriente (forse in Giappone); secondo altri è stato ideato intorno al  1890 dai soci di un club londinese quando si iniziò a giocare una primitiva forma di ping-pong, con materiali “fatti in casa: racchette di solo legno e palline di sughero o gomma”. Certo è che gli Inglesi furono i primi ad organizzare, all’inizio di questo secolo, tornei e campionati. E’ anche loro merito la fondazione della prima associazione denominata “The Ping Pong Association”, cui fece seguito la “The Table Tennis Association”. Dal sodalizio derivato dalla fusione delle due società scaturirono le prime regole di gioco e quindi i campionati.

Con la scoperta della celluloide, e quindi la trasformazione del materiale per le palline  il gioco si diffuse ben presto in tutta Europa ed in tutto il mondo.

Nel 1926 fu fondata la Federazione Internazionale di Tennis/tavolo. Nel 1933 nacque la Federazione negli Stati Uniti. In Italia è regolamentato dalla F.I.T.T. (Federazione Italiana Tennis da Tavolo) che ha sede a Genova.

Il gioco, diventato sport, è oggi assai diffuso in tutto il mondo: negli U.S.A., Inghilterra,  Canada, Giappone, Ungheria, Cecoslovacchia e, soprattutto  in Cina, dove per lunghi periodi è stato considerato sport nazionale.

In Italia non abbiamo avuto, finora, campioni tali da impensierire i più forti giocatori mondiali.

Il gioco si svolge tra due (singolo) o quattro (doppio) giocatori e il campo da gioco è un tavolo la cui superficie deve essere in legno compensato con bordi bianchi tutt’intorno, della larghezza di 1,9 cm.; deve essere lungo 2,74 m. e largo 1,52 m. e deve trovarsi ad una altezza dal suolo di 77 cm. Una rete, alta 17 cm., divide il tavolo perfettamente in metà nel senso della larghezza; deve essere ben tesa e sul bordo superiore deve avere un nastro bianco. La pallina è di celluloide bianca con un diametro che varia tra 3,2 e 4,4 cm. e pesa circa 2,5 grammi.

Il gioco consiste nel mandare la pallina sul campo dell’avversario in modo che questi non riesca più a respingerla. Per respingere la pallina si usa una racchetta generalmente in legno ricoperta di sughero o di gomma.

Ogni giocatore tira per primo (batte cioè il servizio) per cinque volte consecutive, quindi cede il servizio all’avversario. Il giocatore al servizio deve far battere la pallina sulla propria metà campo prima di farla rimbalzare su quella dell’avversario, quindi il gioco procede con la pallina che non può mai essere colpita al volo e due volte consecutive per farle superare la rete di divisione. Nelle partite di doppio i giocatori devono colpire la pallina alternativamente. Il gioco va a 21 (vi devono essere però almeno due punti di vantaggio) e vince colui che si aggiudica due giochi su tre.

Il Tennis/tavolo è un gioco-sport accessibile a tutti. Richiede una modesta spesa per cominciare, che viene ampiamente ripagata nel tempo per chi continua a praticare questa attività. Per coloro che hanno spazio sufficiente in casa, in garage o in giardino, c’è la possibilità di utilizzare un tavolo da gioco sia al chiuso che all’aperto.

All’interno del nostro Circolo è nata, due anni fa, la sezione di Ping Pong che è arrivata a disputare per il terzo anno consecutivo il Trofeo Interaziendale. Questa manifestazione ha fatto piacevolmente “rispolverare” vecchie racchette a “vecchi” giocatori che si cimentavano con impegno nell’affrontare allenamenti e avversari. Ci farebbe piacere allargare la “rosa” dei giocatori, specialmente con l’inserimento di ragazzi giovani che possano assicurare anche un po’ di continuità di rendimento in futuro. Chiunque sia interessato a giocare, anche solo per divertimento, ci può contattare. Per entrare a far parte della nostra squadra non occorre una eccelsa qualità di gioco. Se si frequentano dei corsi, in un anno si può essere già competitivi, anche partendo da zero.

Esiste una realtà funzionante a Pistoia, presso la palestra “Sport e Salute”, in Via Desideri, gestita dal Sig. Balleri, dove si possono imparare i primi rudimenti del gioco, oppure allenarsi con giocatori esperti nell’agonismo. E’ consigliabile apprendere l’ABC del Tennis tavolo con una scuola che insegna i “fondamentali”, evitando ai novizi di acquisire posizioni e movimenti errati.

E allora.... perché non provarci ?

 

da C&TL Anno 2 N. 3 - Maggio/Giugno 1997

BALLO

 BALLO LISCIO....... che passione !!!!!!! di Valoris Spagnesi

Dopo un lungo periodo di oblio, durante il quale il Liscio (con la L maiuscola!) era considerato “roba da vecchi nostalgici” e da “dopolavoro”, il Ballo liscio è tornato prepotentemente alla ribalta.

Si sono aperte numerose scuole, più o meno valide, frequentate da moltissimi giovani. Molti locali si sono trasformati in balere da liscio, sempre piene di coppie che volteggiano (con maggiore o minore abilità ma comunque con tanta passione e tantissima energia) sull’onda di valzer inglesi, viennesi o appassionati tanghi argentini.

Chi è interessato all’argomento sa bene che il ballo è una delle rare attività umane in cui l’uomo impegna cuore, corpo e spirito. E’ uno sport completo come pochi; è un modo per conoscere e conoscersi nello stesso tempo. In questa era di bottoni ed automobili, molti di noi dovrebbe far più esercizio fisico: perché non ballare?

Il grande ballerino e coreografo francese Maurice Bejart narra in un saggio di aver incontrato in India un Santone e Maestro di Yoga, il quale gli narra che il Dio indù Siva, Signore del mondo, ha fra i suoi appellativi Nataraya cioè Re della danza.

Il ballo è un mezzo di espressione; è quasi impossibile ascoltare della musica e non muoversi ritmicamente. Quando tale innata reazione è portata alla sua estrema conseguenza nasce il ballo.

Il ballo da società è uno dei più popolari passatempi del mondo; è praticato in tutti i Paesi da gente di ogni età.

Il Prof. Sauro Amboni, che ha studiato a lungo gli effetti del ballo, ne elenca i benefici:

Fisici; è un’attività ideale a tutte le età: aiuta a coordinare l’azione fra mente e corpo; combatte l’invecchiamento precoce; conferisce un portamento corretto ed elegante specialmente nei giovani; è un’attività praticabile tutto l’anno; da la possibilità di esprimere le proprie emozioni attraverso il movimento; favorisce lo sviluppo mentale; è un ottimo esercizio di relax per alleviare le proprie preoccupazioni;

Sociali: è un modo brillante di conoscere persone nuove; aiuta ad essere bene accetti in società; è una forma per comunicare sensazioni e sentimenti; è un hobby completo; sviluppa le capacità di conversazione; specialmente nei giovani accentua il senso di appartenenza ad un gruppo; da l’opportunità di dimostrare originalità e fantasia; sviluppa il senso di affermazione personale e aiuta a vincere la timidezza.

In quanto disciplina sportiva ed artistica, esistono organismi nazionali ed internazionali che organizzano manifestazioni e campionati delle numerose categorie e specializzazioni.

Lo spettacolo che offrono tali manifestazioni è veramente suggestivo: un volteggiare di eleganti signori in frac ed affascinanti signore in un autentico turbinio di colori.

Maestri indiscussi ed assoluti di tali discipline sono gli inglesi; ogni novità, prima di essere adottata, deve essere codificata in Inghilterra, dove il ballo è considerato un segno di grande distinzione sociale. Ogni maestro di qualsivoglia nazione del mondo che desidera mantenersi ad un livello elevato, si reca per alcuni giorni ogni anno in Inghilterra per corsi di aggiornamento e specializzazioni.

Il Festival del ballo di Blackpool, ridente cittadina inglese, è in assoluto la più importante ed accredita manifestazione del settore, con un prestigio più grande degli stessi Campionati mondiali. Il Festival si svolge dal 1920 nel mese di  maggio ed è stato interrotto solo durante la seconda guerra mondiale; è ospitato in un complesso denominato Winter Gardens che è in grado di ospitare le miglia di appassionati che arrivano da tutto il mondo. Contemporaneamente al Festival si svolge il Congresso Mondiale di specialisti che dibattono e discutono l’evoluzione di tali discipline.

 

Un passo del già citato saggio di Maurice Bejart recita: “Ha! Esclama il Santone, se tutti gli occidentali imparassero nuovamente a ballare”. Auguriamoci, dunque, di divertirci magari ballando e, se possibile, come dice Bejart, di “ballare la vita”.

 

da C&TL Anno 2 N. 4 - Settembre/Ottobre 1997

 PESCA

 BREVE CRONACA DI UNA GARA DI PESCA di Giuseppe Petrocelli

 Abbiamo partecipato anche quest’anno alla 18^ edizione del Campionato Interbancario di Pesca alla trota in torrente che ha avuto luogo nel fiume Sangro, a Castel di Sangro, quasi nel bel mezzo del Parco Nazionale dell’Abruzzo.

La giornata di gara è stata preceduta da una gradevole giornata di turismo nel Parco che ci ha consentito di ammirare la natura nella quale sono immersi i vari centri del Parco Nazionale, immersi e circondati da una natura incontaminata, quali, Barrea, Villetta Barrea con il suo bellissimo lago, fino al centro principale Pescasseroli, piacevole paese di villeggiatura, la Camosciara proprio nel cuore del parco da dove partono sentieri per escursioni verso i luoghi dove è possibile incontrare i camosci all’abbeverata e, chissà, forse anche l’orso marsicano (che però non si è fatto vedere !).

La gita si è conclusa con la visita al lago di Scanno dopo aver compiuto il giro completo della Marsica. E infine rientro in albergo a Roccaraso.

E proprio le cime degli Appennini abruzzesi facevano da cornice al campo di gara, il fiume Sangro, un fiume in parte incanalato con manufatti dell’uomo, soprattutto in prossimità dei centri urbani come  Castel  di  Sangro,  e per il resto del suo corso invece con tutte le caratteristiche del torrente con acque da salmonidi. E di trote in verità ne abbiamo viste di bellissime e tante! (sicuramente molte di più di quelle catturate!) in parte immesse per ripopolamento in occasione della gara ed in parte certamente stanziali. Bellissime e di peso, “anche troppo” è stato il commento di molti pescatori, e da noi condiviso, per una gara in cui è forse più importante la quantità che non il peso. Ma non si può avere sempre tutto ! figuriamoci che altre volte ci siamo lamentati del contrario!

La nostra squadra, quest’anno molto più nutrita che nel passato, era composta dai soliti veterani Petrocelli, Fabbricatore, Colzi, Manzoni, Giuntoli, Moretti, dai più giovani Gori, Teghesi e Niccolai e dalla matricola Cristiano Mazzei, matricola solo perché è stata la sua prima partecipazione alla gara, ma di assoluto valore e competenza in fatto di pesca alla trota in torrente.

E’ stata complessivamente una buona gara in cui tutti i garisti, pur con qualche trota disgraziatamente “slamata”, si sono fatti onore, sfruttando al meglio il posto che hanno avuto in sorteggio. Ed occorre ricordare che il posto di pesca è sempre un elemento determinante, ma soprattutto in gara e nei primi minuti di gara (aggiungo!).

Pensate infatti un momento a cosa possono fare le trote, già sospettose di natura, quando al mattino sentono passare sul greto del fiume un’orda di circa 430 pescatori, muniti di stivali, che per quanto circospetti si dirigono verso il proprio picchetto di gara! La trota un po’ ascolta la confusione e poi corre a trovare rifugio in zone meno accessibili per il pescatore, magari in mezzo al fiume.

Ma con tutto ciò la nostra squadra, anche se ancora non siamo in possesso della classifica ufficiale, si è classificata 24^ su 45 partecipanti circa. Ed è un buon risultato.

E’ stata stilata inoltre una classifica dedicata ai pescatori “over 55” nella quale si sono inseriti Giuntoli, Petrocelli, Colzi e Manzoni, anche se non in zona medaglia solo per lo scarto di pochissimi punti, in buona posizione complessiva.

Infine in classifica individuale, quella di tutti gli altri “under 55”, abbiamo avuto la gradita sorpresa di vedere Mauro Niccolai, al 17° posto con tanto di medaglia d’oro. Onore al merito per Mauro ed un augurio per il futuro!

E’ stato veramente bravo ed ha dato lustro alla squadra.

Ed anche Cristiano Mazzei, che confermando le sue doti di trotaiolo di torrente aveva catturato 4 pezzi di discrete dimensioni, ben a di sopra della misura consentita, doveva essere in classifica con tanto di medaglia d’oro. Ma qualcosa nell’organizzazione della gara non ha funzionato a dovere e con rammarico abbiamo dovuto prendere atto della sua assurda esclusione dalla classifica.

Peccato! Con le catture che avevamo, con la presenza di trotaioli fuori classe, la manifestazione del 1997 poteva essere ricordata come una delle migliori della storia della nostra squadra.

 

 da C&TL Anno 2 N. 4 - Settembre/Ottobre 1997

ESCURSIONISMO

 Vivere la montagna di Piero Pierattini

La catena di sciagure che ha funestato l’estate sulle nostre montagne ha riempito i titoli dei giornali e i dossier della tivù. Il conto delle vittime è purtroppo salito fino a sessanta. Una cifra che autorizza veementi atti accusatori e che induce gli amanti delle spiagge e dell’ombrellone a tacciare di folle incoscienza quanti amano trascorrere le ferie in montagna.

E’ un’occasione dolorosa e al tempo stesso preziosa per guardare meglio dentro a questa passione per le alte vette che spinge molta gente a correre rischi oltre ogni ragionevole limite.

Sessanta vittime sulle Alpi? Lo stillicidio delle notizie è stato continuo, quotidiano, ossessionante. Nei commenti la montagna è regredita al ruolo di funerea tentatrice. Ogni sciagura  ha  risvegliato  tabù e  paure non sopite, oltre a giustificare le consuete invettive per i temerari appena ammantate di pietà per i caduti.

Andare al massimo  anche su una parete od un ghiacciaio è un imperativo per molti irrinunciabile. Peccato che non ci sia airbag che tenga quando da un canalone si stacca una valanga.

Quintino Sella affermava un secolo fa che “sulle montagne troviamo il coraggio di sfidare pericoli ma vi impariamo pure la prudenza e la previdenza onde superarli con incolumità”.

Ed il famoso alpinista Tony Valeruz ha scritto sul quotidiano Corriere Della Sera parlando degli alpinisti: “Arrivano venerdì e la domenica pensano di poter affrontare qualsiasi sfida”  e   Rheinold    Messner   ha scritto sulle pagine del quotidiano Alto Adige “è praticamente scomparso l’istinto dell’alta quota che consente di intuire i pericoli, di sentire quello che si può e soprattutto non si può fare”.

Partendo dalla constatazione che l’istinto umano è incline alle sfide è stato anche scritto bisogna chiudere gli itinerari pericolosi e stabilire pesanti sanzioni. E’ una proposta un po’ comica, ugualmente dovremmo chiudere i mari quando la gente annega, o chiudere Palermo, Napoli, Torino perché si muore di violenza.

Bisogna invece che chi vuole avvicinare la montagna impari a salire valli, colli e cime per gradi e con pazienza: l’istinto lo si acquisisce con la cultura e l’azione, ma ha bisogno di tempo per diventare esperienza. Naturalmente bisogna sempre chiedere ai locali: parlano magari male l’italiano, ma hanno gli occhi allenati e sono più affidabili di qualsiasi attrezzatura, che, anche se estremamente sofisticata, non è mai sufficiente a salvare la vita.

Necessita quindi cercare la soluzione non nel qualunquismo nella demagogia, ma nella cultura e nell’azione equilibrata. Bisogna dare voce alla montagna dei vivi, alla montagna che vuole vivere, a coloro che sanno avvicinarla per quanto sanno e possono fare.

 

da C&TL Anno 2 N. 5 - Novembre/Dicembre 1997

 ESCURSIONISMO

 

NASCE IL NUOVO RIFUGIO “DUCA DEGLI ABRUZZI”

SULLE SPONDE DEL LAGO SCAFFAIOLO

di Piero Pierattini

Domenica 20 luglio si è svolta la cerimonia per la posa della prima pietra del nuovo rifugio Duca degli Abruzzi al lago Scaffaiolo.

Il primo rifugio Duca degli Abruzzi fu costruito nel 1878 da Mr. Budden, presidente della sezione del C.A.I. di Firenze. Fu poi riedificato altre due volte nel 1902 e nel 1926 e infine distrutto nel 1945 dall’esercito tedesco in ritirata. La sezione di Bologna del C.A.I., divenuta proprietaria del rifugio agli inizi del secolo, ricostruì nel 1966 il quarto rifugio, quello attuale, in struttura metallica che, garantita per dieci anni, ha resistito fino ai giorni nostri grazie a continue opere di manutenzione ormai insostenibili. Da qui la decisione di riedificarne uno nuovo in muratura.

Il rifugio è necessario non soltanto per motivi storico-affettivi (è il più vecchio rifugio del C.A.I. dell’Appennino) ma perché posto sul crinale spartiacque fra Toscana e Emilia-Romagna, ideale posto tappa dell’itinerario GEA-Sentiero Italia.

Importante posto di chiamata per il soccorso in montagna, rappresenta un valido punto di riferimento in inverno per gli appassionati di sci e sci alpinismo e, nelle stagioni più calde, per l’attività escursionistica. Situato nel parco regionale dell’Alto Appennino Modenese e ai confini del    parco    regionale   del   Corno   alle   Scale,  il  nuovo   rifugio   sarà costruito accanto a quello esistente, dopo aver spianato la cima del poggio su cui sorgerà, in muratura e sasso per problemi di impatto ambientale.

A questo proposito merita puntualizzare alcuni aspetti sulla scelta della posizione:

1.       Il vecchio rifugio Duca degli Abruzzi, prima della costruzione di quello in struttura metallica, era posto in posizione molto suggestiva, sulle sponde del lago Scaffaiolo, e tutt’oggi ne rimangono le macerie in testa al lago stesso sul lato ovest.

2.       Questo sito è stato scartato, ma indubbiamente avrebbe rappresentato un vero e proprio collegarsi col passato, far rinascere una tradizione con una struttura modernamente attrezzata, anche se era una posizione chiusa sull’orizzonte perché circondata dai piccoli rilievi che delimitano la conca del lago.

3.       E’ stato privilegiato il sito scelto nel 1966 per la struttura metallica. La speranza è che non si verifichi quell’impatto ambientale e paesaggistico che era costituito dal vedere quell’orribile struttura in lamiera verniciata di colore giallo. La posizione è certamente più paesaggistica in quanto domina sull’orizzonte dalla cima di un piccolo poggio.

 

da C&TL Anno 3 N. 3 - Ottobre/Novembre 1998

 ESCURSIONISMO

 SACRO E PROFANO IN VETTA di Piero Pierattini

D'ora in poi chi sale sull’Adamello non potrà fare a meno di posare lo sguardo sulla croce in granito alta più di tre metri che dal 1 agosto di quest’anno svetta a 3278 m. di altezza su “Cresta Croce” (cosiddetta per la presenza nel secolo scorso di una croce in legno). La Croce è stata dedicata assieme alla punta su cui poggia a Giovanni Paolo II ed è stata voluta dalle popolazioni della Val Rendena e della Val Camonica per celebrare le due visite del Papa alle loro montagne (in una delle quali venne qui a sciare nel 1986 insieme al presidente Pertini). E’ un’iniziativa nello stile di genti che vivono in simbiosi con la montagna e ne colgono il pulsare profondo.

Per questo, la Croce non è in legno o ferro, più facile da lavorare e da montare, ma di granito, materiale che nasce direttamente dalle cave della Val Rendena. Quindi su di una montagna di granito una Croce di granito che vuole parlare a tutti perché se è vero che è un simbolo della fede è anche vero che richiama i valori dell’infinito a cui tutti sono sensibili.

Narrano le cronache che il 24 giugno 1609 sulla vetta del pizzo d’Erna, nota montagna presso Lecco, fu eretta e benedetta con grande concorso di popolo una Croce; probabilmente è questa la prima croce in vetta alle Alpi. Erano i tempi del cardinale Federico Borromeo e dei Promessi sposi.

Da allora su tantissime cime sono state innalzate Croci e tanti monti, colli, gioghi, picchi o passi sono stati intitolati alla Croce. Su certi monti sono stati posti simboli di altro tipo: campane votive, statue della Madonna, del Cristo Redentore, targhe, lapidi, ...

Ma i simboli della religione cristiana sulle nostre montagne non si trovano solo sulle cime; le vallate e i passi sono ricchi di cappelle votive, edicole, abbazie, eremi, celebri santuari e poveri crocifissi rustici.  Opere che la devozione popolare e l’arte hanno saputo erigere nei secoli, una rete di segni e di riferimenti al credo divino su cui ha sempre poggiato la speranza delle popolazioni di montagna. L’esistenza lassù era tribolata e incerta, il ricorso alla fede costituiva un appiglio cui votarsi per reagire alla valanga, alla frana, all’alluvione, alla carestia. Non c’erano allora Protezioni civili presso le quali valesse la pena di protestare.

Nei confronti dei segni del sacro in montagna rileviamo oggi nell’opinione pubblica due diversi atteggiamenti: il primo è di tipo “archeologico-conservativo” , cioè di pura valorizzazione e recupero in nome di un interesse storico per le realizzazioni popolari del passato; il secondo è un movimento che giudica eccessivo il numero delle croci in vetta con un atteggiamento più di saturazione che di ripulsa.

C’è da augurarsi, innanzitutto, che la discussione dall’ambito degli equilibri ambientali e della sensibilità estetica non trascenda in una specie di lotta di religione fra alpinisti credenti e non; gli uni all’arrembaggio delle cime per testimoniare la propria fede (aspetto irrinunciabile in un credente che viva con un minimo di coerenza il fatto di essere battezzato), gli altri schierati a difendere le montagne dalla “invadenza” dei simboli della fede, pur riconoscendo che i segni religiosi sono entrati a far parte del mondo montano con la stessa naturalezza delle baite, dei fienili, dei vecchi sentieri, dei ponti sui torrenti, delle opere, insomma, che aiutano la vita dell’uomo e le conferiscono dignità.

Credo che queste due posizioni estreme possano trovare un punto d’ incontro e di dialogo che non porti a crociate né in un verso né nell’altro, anche perché non bisogna scordare che un aumento delle croci in montagna, certamente, spaventa meno del proliferare delle antenne e dei ripetitori.

La risposta va cercata nel solco della tradizione, con il senso della misura e con un particolare rispetto per il sacro.